martedì 2 maggio 2017

L'ANIMALE - MANUEL BANDEIRA


E' dannatamente difficile scrivere una poesia sociale che trascenda il banale, andando oltre un lamento privo di corpo e sostanza. Manuel riesce con pochi versi a rendere il reale che lo circonda, con sguardo lucido e versi puri.
Proprio oggi confessavo - per l'ennesima volta - la mia profonda predilezione per i poeti dell'america latina, per il loro spendersi senza risparmiarsi. Non ci sono reticenze alle loro emozioni, come se siano queste a costringere l'autore a scrivere e non l'autore a interpretarle e in modo più o meno trasparente. Un esempio su tutti è Walt Whitman, anche se non rinnego certo l'autore: esprimo solo una preferenza. Come dire che un uomo ha i capelli biondi piuttosto che castani o neri.
La poetica di Bandeira è espressa bene nella sua "Ultima poesia": 

Così vorrei che fosse la mia ultima poesia
Che fosse tenera nel dire le cose
più semplici e meno
intenzionali
Che fosse ardente come un singhiozzo
senza lacrime
Che avesse la bellezza dei fiori quasi senza profumo
La purezza della
fiamma che consuma i diamanti più
puri
La passione dei suicidi
che si ammazzano senza spiegazione.


La traduzione è sempre a cura della stessa traduttrice.






Manuel Bandeira nasce il 19 aprile 1886, a Recife, nel Nordest brasiliano. A Recife egli trascorre parte dell'infanzia, un'altra parte la passerà a Rio de Janeiro, dove la famiglia si era trasferita e dove completerà gli studi medi e superiori. Nel 1903 parte per San Paolo per seguire il Corso di Architettura alla Scuola Politecnica Paulista, ma si ammala gravemente di tubercolosi, in un'epoca in cui questa era una malattia mortale ed è costretto ad abbandonare l'università. Da quel momento la sua vita cambia radicalmente: a causa della malattia passa dieci anni di tensione e lotta contro la morte, mesi di isolamento e di sofferenza, anni in cui si matura l'uomo e il poeta. La scoperta della sua vocazione poetica viene direttamente collegata a questa malattia contratta ad appena 18 anni. Egli stesso confesserà: "(...) mi sono ammalato e ho dovuto abbandonare gli studi, senza sapere che era per sempre. Senza sapere che i versi, che io avevo fatto da bambino per divertimento, li avrei iniziati a fare per necessità, per fatalità"1. Ma non è solo la sua arte che viene segnata da questa triste esperienza. Tutta la sua vita ne è coinvolta e un segno indelebile di malinconia accompagnerà per sempre il poeta.  La consapevolezza della precarietà della vita gli arriva anche da un contatto intenso e drammatico con la morte; fra il 1916 e il 1922 il poeta perde tutta la famiglia: prima la madre, poi la sorella, il padre, e infine il fratello. Segnato da queste esperienze, non riuscirà a costituire un proprio nucleo familiare, votandosi alla solitudine che lo accompagnerà fino alla morte, sopravvenuta il 14 ottobre 1968 a Rio de Janeiro.





                            L'ANIMALE

Ho visto ieri un animale
Nell'immondizia del cortile
Che cercava cibo fra i detriti.

Quando trovava qualcosa,
Non esaminava né odorava:
Ingoiava con voracità.

L'animale non era un cane,
Non era un gatto,
Non era un topo.

L'animale, Dio mio, era un uomo.

Rio, 25-12-1947.


Traduzione di Vera Lúcia de Oliveira 

O bicho

Vi ontem um bicho
Na imundície do pátio
Catando comida entre os detritos.
Quando achava alguma coisa,
Não examinava nem cheirava:
Engolia com voracidade.
O bicho não era um cão,
Não era um gato,
Não era um rato.
O bicho, meu Deus, era um homem.
                                             Rio, 25-12-1947.

(Belo belo, 1948)

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