venerdì 1 maggio 2015

COS'E' IL LAVORO - PHILIP LEVINE

Propongo un altro Levine perchè questa poesia era l'altermativa per il post precedente a lui dedicato e non ne ho in mente altre altrettanto valide da postare per questo primo maggio che sta per finire. Ma sapete che non amo le commemorazioni, però se mi capita la poesia giusta,  non mi tiro indietro. Vale, per questa poesia, quello che avevo detto due post sotto e speriamo che il lavoro non sia più un problema, che ci sia più rispetto da parte di chi lavora verso chi non ce l'ha (e viceversa) e che abbiano più voglia di impegnarsi nel lavoro, perchè "lavorare" soltanto non basta. Speriamo che chi dà il lavoro sia sempre più disposto a condividere parte del suo guadagno con le persone che glielo creano, che capisca che una persona soddisfatta lo farà volentieri e con profitto. Speriamo che non ci siano più morti bianche, né disperati che sfidano il mare. Speriamo che il lavoro fisso dipenda da un merito e non da un obbligo. Speriamo che non ci siano più persone che dicano ""“No, / oggi non assumiamo”, per qualsiasi / ragione voglia" .





COS'E' IL LAVORO


Facciamo una lunga fila nella pioggia
alla Ford Highland Park. Per un lavoro.
Sai cos’è un lavoro – se sei grande abbastanza
per leggere qui sai com’è lavorare,
anche se magari non lo fai.
Ma lasciamo perdere te. Questa roba
parla di gente che aspetta, passando
da una gamba all’altra. Di quando senti
una pioggia sottile che ti bagna i capelli
come fa la nebbia, e che ti confonde
la vista finché ti sembra di vedere
tuo fratello, forse dieci posti più avanti.

Ti pulisci gli occhiali con le dita,
e ovviamente è il fratello di qualcun’altro,
con le spalle più strette del tuo
ma con la stessa posa dinoccolata
e dimessa, lo stesso sorriso che
non maschera la cocciutaggine, lo stesso
rifiuto, triste, di darla vinta alla pioggia,
alle ore buttate via ad aspettare,
al pensiero che a un certo punto, più avanti,
c’è un uomo che sta aspettando per dirti “No,
oggi non assumiamo”, per qualsiasi
ragione voglia. Vuoi bene a tuo fratello;
all’improvviso, adesso, puoi appena
sopportare l’amore che ti sommerge
per tuo fratello, che non è vicino a te,
o dietro di te, o davanti a te,
perché è a casa a cercare di smaltire
col sonno il turno di notte alla Cadillac
così può alzarsi prima di mezzogiorno
a studiare tedesco. Lavora otto ore
per notte così può cantare Wagner,
l’opera che odi di più, la musica
peggiore che sia mai stata inventata.
Quand’è stata l’ultima volta che gli hai detto
che gli vuoi bene, che gli hai stretto le spalle
larghe, hai aperto bene gli occhi e gli hai
detto quelle parole, e magari gli hai dato
un bacio sulla guancia? Non hai mai fatto
una cosa così semplice, così ovvia,
non perché sei troppo giovane, o troppo
scemo, non perché sei geloso e nemmeno
avaro o incapace di piangere davanti
a un altro uomo – no, è solo che non sai
cosa vuol dire lavorare.


[da What Work Is, 1991]


What Work Is


We stand in the rain in a long line
waiting at Ford Highland Park. For work.
You know what work is – if you’re
old enough to read this you know what
work is, although you may not do it.
Forget you. This is about waiting,
shifting from one foot to another.
Feeling the light rain falling like mist
into your hair, blurring your vision
until you think you see your own brother
ahead of you, maybe ten places.

You rub your glasses with your fingers,
and of course it’s someone else’s brother,
narrower across the shoulders than
yours but with the same sad slouch, the grin
that does not hide the stubbornness,
the sad refusal to give in to
rain, to the hours wasted waiting,
to the knowledge that somewhere ahead
a man is waiting who will say, “No,
we’re not hiring today”, for any
reason he wants. You love your brother,
now suddenly you can hardly stand
the love flooding you for your brother,
who’s not beside you or behind or
ahead because he’s home trying to
sleep off a miserable night shift
at Cadillac so he can get up
before noon to study his German.
Works eight hours a night so he can sing
Wagner, the opera you hate most,
the worst music ever invented.
How long has it been since you told him
you loved him, held his wide shoulders,
opened your eyes wide and said those words,
and maybe kissed his cheek? You’ve never
done something so simple, so obvious,
not because you’re too young or too dumb,
not because you’re jealous or even mean
or incapable of crying in
the presence of another man, no,
just because you don’t know what work is.

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