domenica 4 marzo 2012

DAL MIO CUORE AL TUO - HINMATON YALAKTIT

Ho riportato per sommi capi la vita di questo autore, ne ho ripercorso solo un tratto, il più significativo, perchè capire l'uomo è capire la poesia (e viceversa).
La poesia è dolce ed amorevole, ispirata da un cuore che credeva profondamente nell'uomo, non da un politico che scende a compromessi, che cerca una via comoda. Ha lottato Capo Giuseppe. Ha lottato per il diritto del suo popolo di vivere quietamente sulla terra abitata dai suoi avi da sempre, non per possederla, ma per condividerla. 
Questi sono versi che donano un regalo infinito, come certi pacchetti che si scartano e che ne contengono altri ed altri ancora.
Dev'essere per la costruzione dei versi, fondata sull'anafora, quel "sarebbe" sospensivo come a volerci lasciar scegliere quale sia, per noi, il "regalo più prezioso".
A proposito di regali, il mio grazie all'autore della foto che fa da corredo della poesia.





Hinmaton Yalaktit (che in lingua nimíipuu significa Tuono che rotola dalla montagna) nasce in Oregon il 3 marzo 1840 e muore nello stato di Washington il 21 settembre 1904. E' conosciuto col nome di Giuseppe il giovane, o Capo Giuseppe, e fu un condottiero nativo americano, della tribù dei Nasi Forati.
Figlio di Tuekakas (1800-1871) e fratello di Ollokot, assunse il nome di Joseph, nome con il quale fu ribattezzato il padre convertito al Cristianesimo, assieme all'autorità sul suo popolo quando, nel 1871, Giuseppe il Vecchio morì, lasciandogli assieme al nome la responsabilità dei difficili rapporti con gli Stati Uniti.
Il padre infatti, aveva concluso con gli Stati Uniti un trattato che istituiva una riserva in Oregon e Idaho per le tribù dei Nasi Forati Cayuse, Walla Walla e Umatilla. In seguito però, sotto la spinta dei cercatori d'oro (1860), il governo aveva deciso di confinare ulteriormente i nativi in una molto più angusta riserva dell'Idaho. Giuseppe il Vecchio rifiutò di sottoscrivere un secondo trattato.
Capo Giuseppe insieme ad altri capi nativi e 200 uomini, resistette all'imposizione di trasferirsi in Idaho dalla nativa valle del fiume Wallowa e da convinto sostenitore della pace rifiutò (1874) di partecipare a spedizioni contro i bianchi. La sua politica sembrò avere successo quando, nel 1873, un'ordinanza federale dispose l'evacuazione dei coloni.
Ma nel 1877, la cavalleria agli ordini del generale Howard forzò finalmente la resistenza attaccando i Nasi Forati. Di fronte alla minaccia armata, Giuseppe si accorse che continuare a resistere non aveva senso. Condusse allora la sua gente, attraverso un'estenuante marcia di 2.740 km, dalle Montagne Blu dell'Oregon ai monti Bear Paw del Montana settentrionale, incalzato dai soldati statunitensi lanciati all'inseguimento. Nel corso della ritirata i nativi si trovarono più volte ad affrontare l'esercito, tenendo testa ai generali Howard e Miles e ai colonnelli Gibbon e Sturgis in quella che passò alla storia come la guerra dei Nasi Forati.
Giuseppe contava di sconfinare in Canada sulle orme di Toro Seduto, ma il 30 settembre 1877 lo attendeva l'inizio della decisiva battaglia dei Bear Paw. Respinto in un primo momento il generale Miles, i nativi dovettero soccombere all'artiglieria. L'ultima resistenza, condotta in condizioni meteorologiche estreme, permise comunque ad alcuni dei Nasi Forati di varcare il confine.
Capo Giuseppe si arrese, dietro l'accordo di poter tornare alle riserve d'origine, che i Nasi Forati avevano lasciato intraprendendo la lunga marcia. Ma la promessa non fu rispettata: furono invece arrestati ed esiliati nell'Oklahoma.
dietro l'accordo di poter tornare alle riserve d'origine, che i Nasi Forati avevano lasciato intraprendendo la lunga marcia. Ma la promessa non fu rispettata: Giuseppe e i suoi furono invece arrestati ed esiliati nell'Oklahoma.
Abile e carismatico oratore, passò alla storia per il discorso che pronunciò in occasione della sua resa al Colonnello Nelson Miles:

“… Sono stanco di combattere. I nostri capi sono stati uccisi. Specchio è morto. Too-hul-hul-sote è morto. I vecchi sono tutti morti. Sono i giovani che dicono di sì e di no (cioè votano in consiglio). Colui che li guidava è morto (Allokut). Fa freddo e non abbiamo coperte. I bambini piccoli stanno congelando. Della mia gente, alcuni sono fuggiti sulle colline e non hanno coperte né cibo; nessuno sa dove siano, forse stanno morendo di freddo. Voglio avere il tempo di cercare i miei figli e vedere quanti ne riesco a trovare. Forse li scoprirò tra i morti. Ascoltatemi, miei capi. Sono stanco, il mio cuore è triste e malato. Da dove si trova ora il sole, io non combatterò mai più.” 

Morì molti anni dopo nella riserva di Colville. Negli ultimi anni della sua vita fu invitato più volte all’Est, dove intervenne a cerimonie e commemorazioni perorando in ogni occasione la causa della sua gente. Morì nel 1904, poco più che sessantenne, e, secondo il medico che lo assistette, la causa della morte fu “crepacuore”. 





DAL MIO CUORE AL TUO


“Se potessi offrirti, stamani, il regalo più prezioso
sarebbe un tempo senza inizio e senza fine.
Una vita colma di buona salute e di quella pace e gioia interiore
che possono provenire solamente dallo spirito.
Sarebbe purezza nei tuoi pensieri e nelle tue parole
affinché nulla ti possa avvicinare che non sia bellezza.
Sarebbe un sonno profondo e un respiro di dolce serenità.
Sarebbe comprensione dell’abisso che c’è tra il materiale
e lo spirituale – cosicché rabbia e frustrazione
si dissolverebbero in un caldo rifugio d’Amore.
E tu saresti per sempre il più fedele degli amici…
non per me ma per te stesso.
Tutti i frutti della vita germogliano nel cuore
così questo mio dono è
dal mio cuore al tuo.”



4 commenti:

  1. Grazie cara è una bellissima poesia!

    RispondiElimina
  2. Grazie a te Bruna, per il segno del tuo passaggio.

    RispondiElimina
  3. Un abbraccio di augurio Carla, a te e alle donne della tua famiglia!!!
    Buona festa!!!!
    Giuseppe

    RispondiElimina
  4. Grazie Giuseppe. Siamo tante noi...

    RispondiElimina